Testo e foto di Matteo Diodati
È passato un anno. Ho atteso molto questo momento, quello giusto per tornare ad insidiare i pesci di un piccolo lago dimenticato dal tempo.
Vado a trovarlo negli ultimi giorni di agosto, dopo i primi
temporali, come se fosse un vecchio amico che non vedo da molto; mi addentro
nel folto del bosco e percorro un sentiero diverso, immerso completamente nel
verde. Uccelli fuggono al mio passaggio, ho interrotto la quiete, sono
l’intruso di quel posto fiabesco dimenticato ai più, in cui mi sento a mio agio
come nell’intimità di casa mia, anzi.
Tutto è come l’ho lasciato l’anno precedente. A volte mi chiedo che età possa avere, chi possa aver pensato tale opera e per cosa, data l’origine artificiale. Sono informazioni difficili da ricavare ma che mi affascinano.
Il tempo a disposizione è minimo, il lago popolato da
pochissimi pesci, vecchi, furbi e che per sopravvivere, non hanno bisogno del
cibo artificiale che andrò ad offrire loro. Sono “vergini” o almeno credo, dato
che non ho informazioni riguardanti la pesca da parte di nessuno dei pescatori
di vecchia data delle zone. Sul posto non ci sono segni del passaggio dell’uomo
o comunque di pescatori perché non vi è accesso all’acqua, tant’è che devo
ricavarmi un piccolo foro nella vegetazione per far entrare l’unica canna con
cui pescherò.
Occorre costanza, il punto giusto, l’esca che sappia incuriosirle (self made ovviamente) e tanta fortuna.
Anche quest’anno è arrivata, una carpa a specchio del
caratteristico ceppo che popola il lago. In un pomeriggio successivo ad un
forte temporale raggiungo il lago e noto una notevole attività da parte del
pesce. Lancio sopra un tappeto di bollicine che sale dal fondale con notevole
fermento. È la mossa giusta perché, dopo circa un’ora l’avvisatore inizia a
“cantare”.
È fatta, anche quest’anno, uno splendido esemplare è arrivato tra le mie braccia. Il mio obiettivo è compiuto. Ciao lago, ci vediamo il prossimo autunno.
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