mercoledì 27 febbraio 2013

Quando tutto si fa difficile


  
Si, perché a volte tutto sembra volgere contro di noi, giorni e giorni di preparativi e sacrifici andati letteralmente in fumo a causa di una serie di variabili che ci rendono inermi. L’organizzazione di pescate importanti a lungo termine è, tante volte, l’origine dei nostri insuccessi. In merito a questa conclusione, prendo in esempio una pescata che riflette in pieno il risvolto di questa teoria.
Giunti in piena stagione primaverile, Matteo ed io cominciamo a discutere sul poter organizzare una pescata in autunno in un lago a molti già conosciuto, Viverone. Ferie accordate per la prima settimana di ottobre, inizia la raccolta di informazioni riguardanti le varie zone di pesca e le probabilità maggiori di successo ci vengono date dalle poste intorno a quella del Maresco.  Sperando nel trovare tale posta libera, giunti al fatidico giorno, si parte. A farci compagnia in questa avventura ci sono anche la mia ragazza e altri due amici, unitisi a noi con la voglia di fare un po’ di “wild camping”. Giunti sul lago troviamo la postazione occupata da due carpisti di Cremona ma che fortunatamente stanno smontando, usufruiamo così di questo lasso di tempo per scambiare due chiacchere e fare conoscenza. Subito la situazione non ci viene presentata come le più rosee, pesce praticamente fermo a causa dell’ancora elevata temperatura e dalla scarsità di piogge, tutto ciò contornato dalla elevata pressione di pesca esercitata nel periodo estivo. Un lago così generoso ha concesso loro solo 6 catture in 7 giorni di pesca, tanto che loro stessi ci consigliano di  non calare e puntare più a nord. Fatte le nostre valutazioni decidiamo di tentare, la vista del panorama ci ha oramai ammaliato e nulla può fermare la voglia in un carpista di calare le lenze!

Caliamo la barca (gentilmente concessa dal nostro amico del luogo Roberto Grobbo, al quale va un ringraziamento particolare) ed iniziamo a farci un’idea di come e dove pescare. A un trentina di metri davanti a noi si estende un fitto banco di alghe largo circa 20 metri, con un fondale che degrada moderatamente senza evidenti buche o scalini interessanti. Decidiamo così per la prima notte oramai in avvicinamento di calare le nostre lenze subito oltre il banco di alghe, in attesa poi di poter farci un’idea migliore l’indomani mattina. La sveglia suona e senza catture notturne ci accingiamo a scrutare il fondale con maggiore attenzione, cosa che mi porta a calare ai 300 metri sulla mia sinistra in circa 10 metri d’acqua. All’opposto Matteo cala alla sua destra trovando in direzione della riserva scalini e buche interessanti. Optiamo entrambi per una pasturazione moderata a base di boiles anche di generosa dimensione, costretti dall’incessante attività del pesce di disturbo che, a branchi, oscura letteralmente l’eco! Siamo così definitivamente in pesca, fiduciosi e felici delle nostre scelte.
L’alba del terzo giorno di pesca mi regala uno splendido combattimento con una maestosa specchi caduta su un omino di neve (il mio cavallo di battaglia) 24-20mm alle spezie, ci siamo! Appena rientrati ho giusto il tempo per le foto di rito ed il rilascio, l’altra canna parte un po’ a rilento, saltiamo in barca e portiamo a riva questa volta una meravigliosa tinca di buone dimensioni. Episodio che si ripeterà nell’arco di breve tempo.

Dato che il pesce comincia a muoversi , l’entusiasmo sale ma la delusione arriverà presto sui nostri volti. Passano così altri 2 lunghi giorni senza alcun movimento, periodo nel quale decidiamo di non stravolgere le nostre strategie di pesca e continuare a usufruire degli spot ormai pasturati. Il quinto giorno segna l’apoteosi della sfiga! Cambio di tattica, pasturazione diversa e nuovi spot. Matteo avverte due abboccate nell’arco di 30 minuti; prima partenza saliamo in barca e dopo circa 50 metri il pesce si slama, mentre rientriamo parte l’altra canna in nostra assenza e giunti a riva il pesce non c’è più! Segnalo anche due rapide calate sui segnalatori di Matteo seguite da una ferrata a vuoto. È accaduto l’incredibile, qualcosa ha tranciato di netto la treccia stesa in acqua, cosa da ricollegare sicuramente a gamberi o cozze presenti sul fondale dove essa andava ad adagiarsi.
Con il morale sotto i piedi cominciamo veramente a credere che siamo nel posto sbagliato al momento sbagliato. A risollevare un po’ i nostri animi arriva la visita di un carpista abituale della posta Plein Soleil, il campeggio alla nostra destra, ed è Mimmo, fortunato pescatore che passa 6 mesi l’anno sulle sponde di questo magnifico lago e, secondo me, grande carpista. Egli ci comunica che nonostante le sue proficue zone pasturate concedano ancora qualche pesce, il lago è fermo! Ne segue una lunga chiacchierata e l’origine di una bella amicizia, approfitto dell’articolo per un caloroso saluto a Mimmo, la sua cagnetta Lilly e famiglia!

Torniamo a noi. Dedichiamo così gli ultimi due giorni ad ogni sorta di esperimento, che porta però alla cattura solo di qualche scardola o “scavarda” come le chiamano nel luogo.
Possiamo quindi tirare qualche conclusione al riguardo. Programmando a lungo termine questa pescata siamo stati noi stessi la fonte delle nostre delusioni. L’autunno ha decisamente ritardato il suo ingresso e la notevole mancanza di pioggia ha dato il colpo di grazia al risultato della nostra sessione. L’esperienza mi insegna che i momenti da carpe sono circoscrivibili in una manciata di giorni l’anno, nell’ordine di 30 o 40 al massimo, distribuiti in egual maniera in primavera ed in autunno. Dato che riguarda sicuramente tutte le acque, ma che ha il suo risvolto maggiore nei grandi laghi. È proprio lì che andremo a concentrare le nostre energie, limitandoci nel resto dell’anno a pescate veloci e non di lunga durata.
Tenete le vostre armi ben affilate, batterie cariche, orecchie ed occhi ben attenti! Il profumo della cattura arriverà dalle vostre parti e dovrete essere pronti a coglierlo, canalizzare tutte le vostre energie senza preoccupazioni e lasciarvi andare. Non lasciatevi prendere mai dallo sconforto, per vincere bisogna combattere!
Claudio Baroni


mercoledì 13 febbraio 2013

Inverno tra Gioie e Dolori


Praticare la pesca alla carpa nel periodo invernale non è di certo cosa semplice. La sempre minore attività del pesce, direttamente proporzionale alle basse temperature, rende la cattura ancora più difficile, in stretta relazione anche a dove il carpfishing viene praticato.
 Possiamo dividere per categorie quelli che sono i fattori determinanti nella scelta sia dell’azione di pesca che del luogo:

  •  acqua da affrontare;     
  •  spot all’interno di essa;
  • pasturazione;
  •  tipo di esca e presentazione.



Alla base della sessione di pesca c’è la decisiva scelta del tipo di acqua dove andremo a calare le lenze;

sono senza dubbio da evitare i bacini con scarsa profondità e poco esposti alla luce solare, laghi montani artificiali o naturali e piccole cave sottoposte al rapido calo delle temperature.

Andremo quindi a preferire grandi laghi a bassa quota, con generose profondità (10-15 metri) e zone di acqua bassa, magari protette dal vento ed esposte al sole nelle ore centrali della giornata.




Da non dimenticare sono i fiumi, nostri grandi alleati anche nei periodi più rigidi, ma non sempre pescabili in quanto soggetti all’aumento repentino di portata causato da eventuali grandi piogge o al fenomeno dell’ “acqua di neve”. Questo fenomeno si verifica quando, per via di un momentaneo aumento delle temperature, le nevi presenti sui rilievi che costeggiano il corso d’acqua si sciolgono e, confluendo nel fiume stesso, rendono la sua acqua gelida e il pesce ferma la sua attività.


                           Dopo aver scelto il luogo giusto bisogna individuare lo spot ottimale,
 decisione ancor più fondamentale della precedente


Nei grandi laghi, se si ha la possibilità di utilizzare un ecoscandaglio andremo ad ispezionare, anche in maniera maniacale, la conformazione del fondale riuscendo così ad individuare quelli che sono gli anfratti secondo noi più produttivi, come ad esempio scalini, secche, ostacoli naturali e non.  Durante la ricerca dello spot teniamo un occhio vigile su ciò che ci circonda, potremo così individuare il pesce nelle sue zone di stazionamento, che in questo periodo sono generalmente anche quelle di alimentazione. Andremo così ad insidiare le nostre avversarie “in casa”, senza sprecare tempo e risorse nella pasturazione di ipotetici luoghi di passaggio.

Determinante è anche il fattore meteorologico. Nelle giornate assolate, preferiremo calare nelle zone a bassa profondità dove il pesce si reca per cogliere anche il minimo aumento di temperatura, cercando poi acque più profonde nelle ore notturne. Se la zona di acqua bassa è esposta al vento è comunque da evitare.

La pioggia può radicalmente cambiare le sorti della nostra pescata in quanto porta generalmente un aumento di temperatura e rende ogni  cosa relativamente più semplice.

I fiumi, aumentando in inverno la portata delle loro acque, rendono più complicato l’approccio di pesca, obbligandoci a cercare zone di sbarramento o anse ad acque ferme, riparate dalla corrente e sicura fonte di cibo.


         Per quello che riguarda la pasturazione è assodato che le grandi quantità di esche portano all’insuccesso per via del lento metabolismo della carpa, spinta quindi a ricercare un maggiore apporto nutritivo in una minore quantità di cibo.


Nel caso di una breve sessione di pesca sarà importante concentrare la pasturazione nelle immediate vicinanze dell’innesco componendola di pochissime palline, magari spezzate, create con mix molto nutrienti a base di pesce, rendendola più attraente con farine amalgamate con dip dall’aroma marcato e pellet di vario tipo. Andremo così a creare una zona adatta a suscitare la frenesia alimentare ma sempre non sufficiente a saziare le carpe, portandole così direttamente al nostro innesco.


Quando invece abbiamo la possibilità di passare più tempo in pesca, possiamo anche allargare leggermente la zona di pasturazione mantenendone limitata la quantità. Sempre di rilievo sarà la qualità dell’esca poiché le carpe, trovando giovamento nell’alimentarsene, ne torneranno alla ricerca.



       Ultimo fattore ma non per importanza è sicuramente la tipologia di esca e la sua presentazione.



Tornando a sottolineare l’apatia del pesce  in inverno, andiamo ad evidenziare anche quanto sia svogliato nell’approccio all’alimentazione, cosa che porta a scegliere ovviamente esche di limitate dimensioni; presentazioni  pop-up ben bilanciate sia con pellet da innesco, che a causa delle basse temperature ci permette di rimanere in pesca per un periodo più prolungato, che con esche finte di svariato tipo.

La dinamicità in acqua di ogni innesco galleggiante o comunque criticamente bilanciato, aiuta senza dubbio l’azione del terminale che, in caso di mangiata poco sicura, può determinare il successo nell’abboccata!
Useremo quindi trecciati morbidi o, in caso di acque particolarmente limpide, il fluorocarbon facendo particolare attenzione alla mobilità dell’innesco stesso.
Personalmente preferisco usare boiles ben ammollate, così da creare un’importante impronta attrattiva e inserire una piccola retina in pva riempita di farine di svariato tipo, pellettini e palline tritate, servendo così quella che noi definiamo una vera “chicca” esclamando: “Tu non la mangeresti?” .
C’è un’altra esca molto particolare e che molti non prendono nemmeno in considerazione ed è il semplice bigattino: proteine allo stato puro che apportano un sostanziale beneficio nutrizionale alle nostre amiche baffute e poi parliamoci chiaro, ne vanno veramente ghiotte!

Concludo questo articolo ricordandovi  che ogni appunto elencato è frutto della mia semplice esperienza sul campo, non sono ovviamente solide certezze, ma credo che se vi fiderete dei consigli che vi ho dato ben mescolati ad un buon senso dell’acqua ( leggetevi l’articolo del mio compagno Matteo al riguardo) insito in quasi tutti noi pescatori, una buona dose di fortuna e tanta tanta passione potrete togliervi molte soddisfazioni.
Saluti a tutti e….. in bocca alla big!

Claudio Baroni